Lavoro & Crescita

Intervista al Ministro Urso

Intervista al Ministro Urso

Aumentano le esportazioni, aumenta il PIL, cresce l’occupazione. I numeri raccontano di un’Italia di nuovo con le carte in regola per tornare ad essere la locomotiva dell’economia del nostro continente insieme ad altri paesi a cui abbiamo sempre guardato come esempio. Ha timore che gli sforzi di questo lavoro possano essere vanificati da un nuovo Parlamento Europeo magari non attento come conviene verso una politica industriale che metta al centro dell’attenzione le imprese e ne attui una commerciale che non protegga a dovere il mercato dalla concorrenza sleale?
“No, nessun timore che gli sforzi possano essere vanificati. Nonostante le difficoltà attraversate dall’Europa – prima con la pandemia e poi con le incertezze legate alle guerre – le previsioni di crescita per il nostro Paese sono migliorate. Un’eccezione, in questo contesto storico, apprezzato anche dalle principali agenzie di rating internazionali, valutando con favore sia la Manovra sia le politiche messe in atto negli ultimi due anni. Questo rafforza ancora di più il ruolo strategico dell’Italia all’interno dell’Ue e, in particolare,
nell’evoluzione della politica industriale”.

Tornando all’export, nel 2024 le vendite oltre confine dei nostri prodotti sono cresciute sfiorando il 4% e raggiungendo quota 650 miliardi di euro. Anche l’anno ormai alle porte prevede percentuali che confermerebbero il trend al rialzo del 4,5%, a testimonianza che il Made in Italy è un marchio di garanzia a livello mondiale. Il perpetrarsi nelle nuove generazioni della tendenza al distacco da quei lavori in cui “ci si sporca le mani” ci sta facendo correre il rischio di non avere nessuno a cui poter tramandare l’esperienza e le conoscenze tramandate di decennio in decennio: quali progetti avete in ponte per scongiurare che ciò avvenga?

“I dati sull’export italiano sono davvero lusinghieri: dal Covid a oggi l’Italia è stata il Paese che ha accresciuto le esportazioni più di ogni altro, superando persino Corea del Sud e Giappone e conquistando il quarto posto mondiale nelle esportazioni per i primi sei mesi del 2024 rispetto al settimo posto di dieci anni fa. Questo è il potere del Made in Italy, riconosciuto a livello globale per il suo carattere di qualità, bellezza, eccellenza artigianale e sostenibilità. Il radicamento territoriale, infatti, rappresenta un valore insostituibile: i mestieri tradizionali preservano un patrimonio di conoscenze unico e offrono opportunità concrete ai giovani per entrare nel mondo del lavoro. Sempre più aziende stanno investendo nella formazione professionale e il governo è intervenuto recentemente per consolidare questo percorso con la riforma del biennio degli ITS (Istituti Tecnologici Superiori, ndr) che potenzia la filiera tecnologica e con l’introduzione del Liceo del Made in Italy. Inoltre, il Piano Transizione 5.0, primo in Europa, include incentivi per le transizioni green e digitali insieme alla formazione dei lavoratori”.

Diffondere la cultura del Made in Italy e formare nuove professionalità: è la sfida del nuovo liceo istituito a braccetto col Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Il nuovo indirizzo ha però riscosso un successo inferiore alle aspettative, con 92 prime classi in tutta Italia. A cosa attribuite una risposta scolastica forse al di sotto delle previsioni, ad un difetto di comunicazione, una fase che è ancora di rodaggio o ad una novità forse percepita dai ragazzi e dalle famiglie un po’ troppo slegata dal mondo attuale?

“Non parlerei di una risposta al di sotto delle aspettative. Bisogna considerare che questo è un anno pilota e che, date le tempistiche ristrette tra l’entrata in vigore della legge e l’apertura delle iscrizioni, i risultati ottenuti sono stati incoraggianti. Il Liceo del Made in Italy rappresenta un percorso scolastico innovativo e orientato al mondo produttivo, che integra le discipline umanistiche con le materie STEM, per fornire agli studenti strumenti fondamentali per l’analisi e la comprensione degli scenari storico-geografici, artistico-culturali, oltre che dello sviluppo industriale ed economico dei settori produttivi italiani. In questo modo si valorizzano le eccellenze nazionali, facilitando l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e costruendo un ponte tra istruzione e imprese, che saranno coinvolte sempre più attivamente nel progetto”.

Il nostro Paese ha già contribuito a cambiare rotta su diversi dossier di rilievo, come quello sull’Euro 7 e sugli imballaggi. Ora, insieme alla Repubblica Ceca, stiamo portando avanti un non-paper sul settore automotive, che sarà presto discusso in Commissione, con l’obiettivo di riesaminare il blocco dei motori endotermici previsto per il 2035. La decarbonizzazione resta una priorità, ma è fondamentale identificare percorsi realistici e sostenibili per raggiungerla.

“L’avvento del nuovo Parlamento Europeo e una maggiore rappresentanza dei partiti di governo italiani, rafforzata dal ruolo di Raffaele Fitto come Vicepresidente esecutivo della Commissione, favoriranno ancor di più questo processo ormai avviato. Inoltre, la nuova politica europea dovrà utilizzare risorse comuni per investire nel sistema produttivo e nelle imprese, tutelando il mercato e la produzione dalla concorrenza sleale”.

Come riuscite a conciliare la tutela degli interessi nazionali, perseguita attraverso l’applicazione della normativa Golden Power, con gli obiettivi di sviluppo industriale e tecnologico del Paese, anche attraverso l’attrazione di investimenti esteri?

“La normativa Golden Power ha lo scopo di garantire la sicurezza nazionale e l’integrità dei settori strategici del Paese. Obiettivi che si pongono su di un piano complementare a quello della promozione di iniziative a sostegno dello sviluppo del sistema produttivo italiano. Queste due finalità, apparentemente distinte, sono però caratterizzate da una reciproca influenza di cui si deve inevitabilmente tener conto. In ogni modo, l’applicazione della normativa GP non costituisce un ostacolo all’afflusso di capitali esteri, anche extra-UE, in quanto si limita a intervenire solo nel caso in cui tali investimenti possano compromettere in qualche modo la sicurezza e gli interessi nazionali. Questo è confermato dai numeri, che indicano un uso molto oculato dello strumento”.

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